
Sull’incoerenza patriarcale.

La favola del maiale e del pipistrello.
Quando la bramosia umana e il capitalismo globalizzato rendono possibili incontri improbabili. E a pagarne le conseguenze siamo noi.
di Jean-Luc Porquet, per Le Canard Enchainé. Traduzione: Intersecta
“Come ha fatto un virus che circolava tranquillamente fra le popolazioni di pipistrelli in qualche parte dell’Asia a riuscire a decimare popolazioni umane in tutto il pianeta?
E’ la domanda che si pone Serge Morand, ecologo al CNRS (Il CNR francese) e specialista di malattie infettive. E anche se le condizioni esatte che hanno portato alla comparsa del coronavirus a Wuhan non sono ancora del tutto chiare, secondo Morand la risposta a questa domanda ce la può dare una favola, di quelle vere, come quelle di Esopo o di La Fontaine: “C’erano una volta un pipistrello e un maiale che, a dispetto di ogni probabilità, si incontrarono in un meraviglioso paese dove, per motivi religiosi, gli abitanti non mangiavano i suini, ma li allevavano per gli altri. Tuttavia, dopo questo improbabile incontro, la gente di questo paese fu colpita da una strana malattia”.
Nel Settembre del 1998, una temibile epidemia è riscontrata in un allevamento di maiali in Malesia, e la sua origine è presto rintracciata: il virus Nipah, che circola abbondantemente fra i pipistrelli. Gli allevatori contraggono delle febbri emorragiche molto gravi, e l’epidemia si propaga fino a Singapore. Per circoscriverla, viene abbattuto un milione di maiali e migliaia di esseri umani e di animali vengono isolati. L’epidemia verrà dichiarata sotto controllo nel Marzo del 1999, con un bilancio di 105 vittime umane, e numeri molto più alti per gli altri animali. Ok.
Ma perché questo virus è passato dai pipistrelli ai maiali, e poi dai maiali agli esseri umani, in un paese in cui la stragrande maggioranza della popolazione è musulmana e non mangia carne di suino? E come ha fatto poi a raggiungere un altro paese?
La risposta è semplice. Nel 1998, la grande isola del Borneo vede le sue foreste distrutte da incendi dolosi, che hanno come scopo rimpiazzare la vegetazione pluviale con palme da olio. Vedendo il loro territorio rimpicciolirsi, i pipistrelli (che in quella parte del mondo sono frugivori) partono alla ricerca di nuove zone per vivere e nutrirsi, e le trovano nei frutteti intensivi della Malesia, che ospitano anche enormi allevamenti di maiali. E qui comincia il giro, perché i maiali allevati in Malesia sono destinati all’importazione, e così il virus arriva a contagiare il personale dei macelli di Singapore.
L’improbabile incontro fra pipistrelli e maiali non è quindi frutto del caso, ma è stato determinato dal contesto socio-economico.
“E’ tutto dovuto alla deforestazione, all’agricoltura intensiva, alla globalizzazione degli scambi che porta al commercio in tutto il mondo di animali vivi e di prodotti dell’agricoltura intensiva”, ci spiega Morand. Dire che oggi ci sono delle epidemie mondiali perché ci sono sempre state, come si è sentito da diverse fonti quando è apparso il Covid19, significa non voler capire niente. L’ecologo francese afferma che, se è vero che le epidemie sono sempre esistite, esse si moltiplicano sempre più velocemente a partire dagli anni quaranta del ventesimo secolo, e acquistano una dimensione globale con l’inizio degli anni sessanta. Guarda caso, gli anni del boom economico mondiale e della “rivoluzione verde”.
Per rispondere alla minaccia pandemica, conclude Morand, ci propongono vaccini e sorveglianza biomedica degli esseri umani, scegliendo di concentrarsi solo sui sintomi e di non chiedersi quali siano le cause della malattia. Cause “intoccabili” nel mondo di oggi, come l’allevamento industriale, la globalizzazione ineguale degli scambi, la corsa distruttrice verso una sempre maggiore produzione…
Ma a qualcuno interessa?
L’intersezione tra femminismo ed egoismo stirneriano.
Riflessioni femministe su una possibile liberazione non eterodiretta.
pubblicato in inglese su abissonichilista Traduzione: Intersecta
È un ossimoro dichiararsi contemporaneamente egoista e femminista se si intende femminismo in senso giuridico e politico, e anche di più se ci si ispira all’egoismo come elaborato da Max Stirner. L’individualismo presentato da Max Stirner rifiuta ogni “ismo” collettivo. Non desidero dare l’impressione di suggerire il contrario, né essere interpretata erroneamente come una “femminista stirneriana”, cosa scomoda per costituzione. Tuttavia, sia che ci si riferisca a se stessi principalmente come femministi o come egoisti, c’è ancora molto da dire sul punto in cui i due princìpi si intersecano.
L’egoismo di Stirner enfatizza il bisogno fare svanire qualunque autorità esterna, sia essa religiosa, politica o sociale; l’egoista stirneriano guarda solo al sé come autorità esistenziale e sovrana. Non sono un Dio superiore né tendenze socio-politiche che determinano il sé dell’individuo. Sebbene Stirner parli di egoisti involontari che non sono egoisti veri e propri, perché il loro Ego cerca la conferma di un’autorità esterna, anche la ricerca di una conferma può derivare dall’egoismo. In altre parole, è il sé che decide che c’è qualcosa che deve essere cercato esternamente, ed è il sé che soddisfa questo requisito poiché ha orchestrato l’intera cosa.
È stato detto che l’individuo è sia prigioniero che carceriere.
Da questa applicazione della sovranità individualista, traggo molteplici critiche al movimento e all’ideologia femminista di oggi. Questo non è un tentativo di abbattere o ridefinire, ma una sorta di operazione di “raffinamento del grezzo”. Per quanto riguarda il femminismo, quello che io chiamo “outsourcing” è una grave passo indietro. Esternalizzare significa appaltare un particolare lavoro o ruolo a un’entità esterna. Le prime ondate di femminismo furono le prime a porre il problema dell’outsourcing. La donna non cercava più il permesso dell’uomo o della Chiesa, ma iniziava a guardare a se stessa nel fare le proprie scelte e decidere il proprio destino.
Alcuni criticano il femminismo di oggi, e la popolazione in generale, per essere troppo egocentrici nelle decisioni. Non lo trovo del tutto vero, o forse è vero solo al livello più superficiale. È più corretto affermare che le persone tendono ad affidare il processo decisionale a una pletora quasi infinita di forze esterne. Che si tratti del desiderio ardente di convalida da parte dei colleghi, delle riviste di moda che dettano l’immagine che ciascuno deve avere di sé, della società che decide cosa bisogna attendersi dal futuro di ciascuno; ciò che normalmente chiamiamo egoismo tende ad essere in realtà il comportamento risultante a causa di questo dilagante outsourcing. Ci diciamo egoisti ma non siamo noi che decidiamo.
Se il sé guarda al sé come autorità sovrana, allora è lui che prende le decisioni, non la linea infinita di entità esterne che cercano di assumere il manto del decisore. Si può pensare al liberalismo, al libero pensiero secolare, alla narrazione del contributo alla conoscenza collettiva dell’uomo e ad altri ideali illuministi simili che continuano ancora oggi, sebbene mascherati con un marchio pesantemente commercializzato e simile a un branco. In effetti, Max Stirner ha sottolineato questo punto. Anche la tensione verso l’ “umanesimo del libero pensiero” o quello che alcuni chiamano “progressismo” oggi è ancora un “fantasma” intangibile che è fin troppo pronto ad assumere il ruolo di arbitro ultimo al posto dell’individuo.
In breve, uno “spettro” è un astratto intangibile che ha un potere solo perché questo potere gli è dato da una collettività, che lo impone ai singoli, mentre è praticamente privo di esistenza concreta. Quello che viene chiamato “progressismo” o “giustizia sociale” o anche “femminismo” è davvero un fantasma. Questo non li rende negativi o cattivi o indesiderabili, solo che un sé che designa il sé come sovrano non esternalizzerà l’autorità a queste costruzioni semantiche e ideologiche. Se si decide che il concetto di Dio o di religione non è padrone del sé, come si può permettere che movimenti sociali figli di contingenze storiche e sistemi di pensieri che riducono gli individui a gregge diventino padroni? Una femminista che sostituisce un’autorità esterna con un’altra autorità esterna ha fatto ben poco per farsi strada.
Una femminista dichiara l’auto-liberazione e l’autonomia personale, afferma il diritto di esistere in quanto se stessa, libera e unica come qualsiasi essere umano. Ovviamente questo deve essere considerato nel contesto. Nessuna persona è un’isola. Viviamo in una contingenza costante e piena di fattori interdipendenti. Comunque sia, anche nell’interdipendenza si può ancora raggiungere un particolare grado di separazione e isolamento ontologico o esistenziale. Dora Marsden è stata una delle prime femministe che si è ispirata a Max Stirner, ma sappiamo poco della sua analisi al lavoro di Stirner, solo che l’ha trovata profonda. Il suo attivismo si svincola dall’uso dell’etichetta femminista, poiché non le piaceva la sua disposizione reattiva. In modo stirneriano, comprese la liberazione del sé nel “qui e ora”, nel senso che il sé era già sovrano e non necessitava di un’entità esterna per emanciparlo. Pertanto, è il sé per primo che ha realizzato la propria sovranità, e qualsiasi “attivismo” riguardante un mondo femminista che potrebbe verificarsi in seguito è un dettaglio secondario.
“È arrivato il momento in cui le donne mentalmente oneste sentono di non avere alcuna utilità per il trampolino di lancio di grandi promesse di poteri redimibili in un lontano futuro. Proprio come sentono di poter essere “libere” ora, così come hanno il potere di essere, sanno che le loro opere possono dare prova ora di qualunque qualità esse decidano di dar loro. Tentare di essere più libere di quanto il proprio potere garantisca produce un curioso paradosso: la libertà e l’abilità riconosciute “a credito” a una donna perché è donna, sono libertà e abilità “protette”, riconosciute per autorizzazione, e quindi privilegi che ritengonon possano servire a nessuno scopo utile in un cammino di liberazione. ”
-Dora Marsden
Ispirata da Stirner, Marsden distingue l’autoliberazione dall’emancipazione, o meglio coloro che riconoscono il proprio potere rispetto a coloro che richiedono che gli altri concedano loro dei diritti.
Qui risiede anche la differenza fra il reattivo e l’attivo. Il reattivo è colui che infuria contro l’Altro, chiedendo l’emancipazione, condannando l’Altro come l’oppressore, il trasgressore, considerando se stesso moralmente buono e oppresso. “Coloro che regnano, che hanno una posizione di potere, sono i cattivi, e quindi questo fa di me il buono”. C’è poco potere autonomo nella posizione reattiva, anzi qualsiasi potere è acquisito attraverso il negativo, come reazione all’attivo. L’egoismo di Stirner si occupa di ciò che è attivo, a cui Stirner si riferisce come proprietà o auto-godimento. Non è la crociata per la libertà o la giustizia sociale, l’oggetto della sua analisi, ma la proprietà del singolo, dell’unico, costituita dal suo potere intrinseco e dalla sua autonomia irripetibile.
Si può esser di fronte a un’ingiustizia o a un’indecenza, e questa situazione certamente danneggerà l’individuo, ma il vittimismo perpetuo e idealista è uno stato mentale reattivo che pone permanentemente il sé alla mercé dei capricci esterni. Questo vulnus si trova comunemente nel femminismo così come in generale nel liberalismo; una incessante ricerca del martirio, il glorificare gli oppressi (che rimarranno tali) piuttosto che lodare i forti. Proprio come la Madre Maria, la donna secolare è ricettacolo e ricevente, colei che deve sopportare il peso. Per la femminista questo è inaccettabile. La femminista è definita dal positivo, dall’affermazione, e solo quando vuole accetta di rivestire altri ruoli. La femminista non è una preda da cacciare, è lei che caccia.
Genere e potere di governo – Solidarietà femminista dal basso.
da roarmag.org Traduzione di Unoka Öcs per Intersecta
Quinta parte
MODALITÀ PROMETTENTI DI CURE RIVOLUZIONARIE
Chia-Hsu Jessica Chang, Lais Gomes Duarte e Vanessa Zettler di Colectiva Sembrar
Le donne in tutto il mondo, oltre ad avere a che fare con sistemi intersezionali di oppressione, spesso fanno il lavoro invisibile di prendersi cura dei più vulnerabili. La pandemia ha esacerbato la vulnerabilità di molte donne coinvolte nel lavoro di cura, attivando contemporaneamente reti di mutuo soccorso focalizzate proprio su questi temi. Nel nostro progetto internazionale per raccogliere storie sull’aiuto reciproco per il COVID-19, Colectiva Sembrar ha trovato modelli di speranza di cure rivoluzionarie dal Brasile al Portogallo, Taiwan e oltre.
A Hsin-Kang, una comunità rurale di Taiwan, la popolazione è in gran parte invecchiata e la maggior parte delle sue famiglie sono povere famiglie di contadini. In una sala da pranzo comune a Hsin-Kang, dove si riuniscono gli anziani, una donna sulla sessantina contribuisce ogni giorno cucinando per la gente. Nonostante abbia una grave artrite reumatoide e un dolore fisico costante, insiste ancora per provvedere a coloro che nella sua comunità sono più anziani e più vulnerabili.
Esempi simili di lavoro di comunità in prima linea si possono trovare anche a Lisbona, in Portogallo. Le donne di Lisbona si sono unite per formare Plataforma Geni, una piattaforma online per responsabilizzare le donne migranti la cui vulnerabilità è stata esacerbata durante la pandemia. Poco dopo che il governo portoghese ha annunciato che Lisbona sarebbe stata bloccata, queste donne hanno avviato una campagna online che metteva in contatto donne che potevano offrire servizi legali e di consulenza gratuiti con donne bisognose di questi servizi.
Le pratiche femministe decolonizzanti di Plataforma Geni ci mostrano un futuro più equo costruito sulla ridistribuzione del potere e in cui le disuguaglianze strutturali di razza, genere e nazionalità che sostengono il colonialismo non prevarranno.
Finora, i governi di Taiwan e Portogallo hanno contenuto il COVID-19 relativamente con successo. Tuttavia, altri governi, come quello brasiliano, hanno completamente fallito, rendendo le reti di assistenza ancora più importanti.
In Brasile, ancora una volta, queste reti sono guidate da donne. Suzi Soares, che proviene da un collettivo artistico nella periferia di San Paolo, ha mobilitato migliaia di famiglie. Helena Silvestre, anche lei di San Paolo, ha usato il potere di Abya Yala , una scuola femminista che aveva precedentemente fondato, come hub per fornire supporto materiale, psicologico e legale per la maggior parte delle donne nere e indigene nelle periferie e nelle favelas della città.
In tutti i casi, questo lavoro di assistenza reciproca è svolto principalmente dalle donne e spesso rimane nascosto nell’ombra. Tuttavia, questo lavoro rappresenta la possibilità di un futuro comune e migliore. Non solo deve essere reso visibile, ma anche ridistribuito e decolonizzato.
Genere e potere di governo – Uno sguardo di insieme sulle lotte femministe internazionaliste.
da roarmag.org Traduzione di Unoka Öcs per Intersecta
Quarta parte
ALLEANZA DI BASE, SOLIDARIETÀ INTERNAZIONALE
Alleanza internazionale delle donne
In quanto alleanza internazionale di organizzazioni femminili di base, l’ Alleanza internazionale delle donne ha visto i suoi membri combattere con tutte le contraddizioni che il COVID-19 ha smascherato e intensificato. La violenza statale e domestica contro le donne ha raggiunto proporzioni pandemiche poiché la pressione sulle famiglie, sull’occupazione e sui mezzi di sussistenza aumenta e le chiusure confinano le donne a casa con partner violenti.
Allo stesso tempo, le donne sono state costrette a raddoppiare e triplicare il loro carico di lavoro di lavoro riproduttivo non riconosciuto, assumendosi la cura della famiglia, dei bambini e dei parenti anziani poiché i blocchi sospendono scuole e servizi pubblici.
COVID-19 non è stato un ostacolo alle continue guerre di aggressione da parte di potenze imperialiste come gli Stati Uniti e i loro alleati, compresa l’annessione pianificata da parte di Israele della Cisgiordania e della Valle del Giordano e la crescente occupazione indiana del Kashmir. Mentre i sistemi sanitari e di istruzione di base sono indeboliti, i paesi della NATO stanno spendendo miliardi per prepararsi alla guerra e a nuovi modi di dividere il mondo. In questi luoghi le donne sono in prima linea nella resistenza.
Per le donne, la militarizzazione in risposta alla crisi del COVID-19 significa anche che saranno a rischio di subire maggiore violenza attraverso stupri, sfollamenti forzati, accaparramento di terre e politiche e atteggiamenti apertamente misogini promossi da autoritari come Trump, Bolsonaro, Duterte e Modi . In America Latina la violenza contro le donne, che è collegata al traffico di droga e alle industrie delle maquiladoras , ha raggiunto proporzioni femminicide. Le campagne per fermare questa violenza vengono coordinate a livello transfrontaliero e stanno acquisendo visibilità.
Allo stesso tempo, COVID-19 ha rivelato il ruolo chiave che le donne che lavorano svolgono nella società.
Nel Sud del mondo, i piccoli agricoltori, in particolare le donne, sono la maggioranza dei produttori di cibo. I blocchi di COVID-19 hanno impedito le loro attività produttive. Pur annunciando la scarsità di cibo e la fame per se stessi e per il pianeta, la monopolizzazione dell’agrobusiness continua senza sosta.
Nel nord del mondo, COVID-19 ha rivelato in modo netto il ruolo cruciale e in prima linea delle lavoratrici migranti come assistenti e nella produzione e distribuzione di cibo e agricoltura. Anche la loro situazione e la loro precarietà come lavoratori migranti e rifugiati sono state messe a nudo e hanno scatenato lotte e solidarietà da altri settori anche sotto le regole di reclusione.
Di fronte a tutto questo, le donne stanno trovando nuovi modi per andare avanti nella lotta attraverso l’aiuto reciproco, l’assistenza sanitaria e la preparazione e distribuzione di cibo su base comunitaria. L’IWA – che presto festeggerà il suo decimo anniversario – si sta collegando dal basso per formare forti alleanze internazionali, costruire solidarietà più forti, scambiare analisi e condividere campagne.
I membri dell’IWA sono in prima linea nelle lotte per la sovranità alimentare sia attraverso la difesa che le organizzazioni di base. Mano nella mano con l’Alleanza Internazionale dei Migranti e altri, stiamo aiutando a coordinare le lotte che richiedono protezioni e diritti fondamentali per i lavoratori migranti in tutto il mondo.
Le stesse difficoltà della crisi del COVID-19 stanno spingendo in avanti la nostra Alleanza. I movimenti delle donne progressiste continuano come una parte vibrante delle lotte per la giustizia e l’uguaglianza dei popoli del mondo.
Il problema è la fede cieca, qualunque essa sia.
Conversazione a St. Mary Mead su emergenza sanitaria, insipienza dei governi e follia della masse.
Jane Marple e Elspeth McGillicuddy, per Intersecta
St. Mary Mead, interno giorno. Miss Marple riceve la sua amica scozzese Elspeth McGillicuddy, che già una volta l’aiutò a risolvere un caso. Aspettando il thè delle cinque, guardano un telegiornale alla TV italiana (Zia Jane ha voluto che le installassimo un’antenna parabolica), e commentano quello che vedono.
Miss Marple: L’irritazione che mi provoca l’obbedienza cieca all’indignazione pianificata non riesco ad esprimerla, cara. Si sono adunate 1500 persone in una piazza. Un numero irrilevante ai fini di qualsiasi movimento. Era una manifestazione senza obiettivi, senza richieste specifiche e controllata in qualche modo da gruppi fascisti. Una sceneggiatura che segue sempre lo stesso copione: personaggi facilmente risibili tipo Brigliadori, “mamme” ignoranti e confuse, presunta riunificazione di istanze le più disparate tra di loro (no vax, “vegani”, fascisti, qualunquisti, no mask, etc). Ma che peso politico trainante può avere una manifestazione simile? Zero. Il peso ce l’ha perché viene usata come strumento di antagonismo (inesistente e improponibile), di leva per far sentire migliore chiunque, compresa la gente accecata da altre forme di fideismo. Quella sì con un peso mastodontico a livello socioculturale. Sono passati pochi mesi e già la popolazione “credente” si è scordata della ridicolizzazione iniziale di tutte quelle persone che avevano paura ad uscire di casa senza mascherina. Oms e sudditanza varia in coro dicevano: “non vi serve!”. Per non parlare della polemica infinita e demenziale tra provax e novax. Tra i cavalli di battaglia dei provax c’era l’efficacia dei vaccini e la loro mancanza di effetti collaterali in quanto testati per decenni e immessi sul mercato dopo lunghe e meticolose procedure mediche e burocratiche. Ora si aspettano un vaccino a breve per un virus di cui non esiste neanche un protocollo di cura condiviso a livello internazionale nonostante sia pandemico. Tanta gente dalla memoria cortissima, che magari sgrana rosari, crede all’oroscopo e alla cartomanzia, ma in questo caso specifico si sente particolarmente razionale e concreta. Quella piazza non è che non fa schifo. Fa schifo e tristezza. Ma personalmente mi suscitano questi sentimenti anche altri milioni di persone con il razionalismo a compartimenti stagni, che fa patti di fede e non di fiducia con le istituzioni. Che usano il loro drappo rosso per far infuriare con uno schiocco di dita le compagini più dedite alla sudditanza verso di loro non solo per ottenere consensi, ma anche per nascondere tutte le contraddizioni, l’inadeguatezza, l’incertezza che contraddistinguono il mondo in questo momento. Scusami per questa filippica, cara, ma io vedo solo fifa mal gestita e condizionata in ogni dove e zero cautela, in tutti i sensi.
Signora McGillicuddy: Io ho tanta voglia di ridere perché è stato così shockante l’avvenimento che gli stessi medici sembrano non considerare che si tratta di un coronavirus. Più che la malattia in sé mi spaventa il buco nero nella mente di tanti. Non c’è un protocollo di cure condiviso, non ci possono essere studi sugli effetti a lungo termine, e siamo tutti sclerati con una classe di virus il cui comportamento è studiatissimo. Il guaio è precedente, è stato nella semplificazione di concetti complessi. Noi conosciamo in maniera molto superficiale un concetto, quello di “influenza”, che in realtà racchiude famiglie di virus molto differenti che hanno in comune una certa velocità di modificazione propria ma effetti diversi sull’organismo.
Miss Marple: Esatto cara. Anche a seconda dei singoli organismi.
Signora McGillicuddy: Tipo, i corona virus notoriamente non rispondono al vaccino come che ne so, il morbillo. E non pigliano genericamente i polmoni. Può essere una modalità di infezione ma non necessariamente la sintomatologia. Che può andare dallo scolo al naso all’ictus.
Miss Marple: No, anzi. Addirittura possono innescarli negli organismi più fragili.
Signora McGillicuddy: Esatto, non si ragiona però. Il problema è la fede. Già gli effetti li vedo nella gestione scolastica, totalmente demente. Un secondo mega lockdown la vedo dura, ma solo perché non c’è possibilità di sopravvivere e tante persone rischierebbero la morte di inedia, che sarà anche non contagiosa ma non la prenderei sottogamba sinceramente, anche se non fa chic. La cosa più sensata da fare è evitare i posti chiusi ahimè, il più possibile.
Miss Marple: È tutto lì, cara, è tutto lì. E indossare mascherine in luoghi chiusi e affollati tipo gli aeroporti è una pratica decennale per molti orientali, a prescindere dalle epidemie.
Signora McGillicuddy: Già… Ma è il fischio della teiera quello che sento?
Miss Marple: Certo, sono le cinque in punto, del resto. Ti faro provare un thè nero nuovo che mi ha regalato Raymond, una prelibatezza, vedrai.
Terza parte
VERSO UNA RADICALE RIORGANIZZAZIONE DELLA VITA
Dilar Dirik, Turchia
La pandemia del COVID-19 ha mostrato molte delle diseguaglianze sociali che costituiscono le condizioni di vita e di morte delle persone in tutto il mondo. Ha dimostrato, quasi graficamente, che anche nel contesto di un virus che si diffonde indipendentemente dalla propria identità, i sistemi creati dall’uomo sono centrali per le vite che contano e quelle che si possono scartare. La pandemia ha fornito l’occasione per lottare e organizzarsi in tutto il mondo.
Gli stessi gruppi che hanno organizzato sistemi di mutuo soccorso nelle loro comunità tendono anche ad essere quelli che richiedono i cambiamenti più radicali. Le donne nere e le donne non bianche sono in prima linea nell’organizzazione volta a soddisfare le esigenze e le richieste delle loro comunità, nonostante siano tra i gruppi più vulnerabili della pandemia. Attraverso azioni orizzontali e dirette che mirano a risolvere i problemi collettivamente, queste persone dimostrano che la protezione della vita è impossibile senza riproduzione sociale, lavoro di cura, aiuto reciproco e amore.
I movimenti femministi e rivoluzionari hanno da tempo sottolineato che non possiamo fare appello alla misericordia dello Stato per trovare soluzioni ai nostri problemi. Riconoscono che il sistema burocratico dello stato semplicemente non è progettato per mantenere in vita le persone. Gestire la vita e difendere la vita non sono la stessa cosa.
Organizzarsi durante la pandemia del COVID-19 ha anche aiutato in molti modi a femminilizzare le idee sull’eroismo. Durante la pandemia, le discussioni transnazionali sul lavoro, il valore e la vita hanno contrastato le idee romantiche sul lavoro e sul genere e invece hanno affermato che le relazioni sociali devono cambiare. Le riforme non sono sufficienti per la giustizia; dobbiamo cambiare il nostro modo di vivere.
Quando lo stato turco ha deciso di escludere migliaia di prigionieri politici dall’amnistia per il COVID-19, il movimento delle donne curde si è rivolto a diverse lotte di donne in tutto il mondo per avviare una campagna internazionale per la libertà dei prigionieri politici – “Solidarity Keeps Us Alive”.
Ma perché lottare contro le carceri in un momento simile?
Nonostante il suo ruolo nel perpetuare la violenza, i conflitti sociali e l’ingiustizia, lo stato spesso giustifica la brutalità della polizia, la sorveglianza e la politica carceraria presentandosi come l’unica autorità che può garantire la sicurezza alle comunità. “Chi ti proteggerà da assassini, stupratori e ladri?”, chiedono. La prigione è l’istituzione definitiva per rappresentare l’idea che gli esseri umani sono fondamentalmente imperfetti, corrotti e malvagi. Questa visione deterministica della vita rifiuta la possibilità di giustizia attraverso il cambiamento sociale; serve solo lo Stato autoritario.
Al centro delle prospettive abolizioniste come quelle sostenute dal movimento delle donne curde c’è l’idea che la libertà e la giustizia non sono semplicemente utopie, ma sono effettivamente possibili. La violenza non è il destino, ma il risultato di sistemi che possono e devono essere smantellati. In questa luce, le femministe e le lotte delle donne con la politica abolizionista presentano alcune delle visioni e pratiche più rivoluzionarie e piene di speranza.
Abolire l’ingiustizia significa costruire società libere, come sottolineano le femministe abolizioniste nere. Ciò significa abolire lo stupro, la violenza domestica, la povertà e molte altre questioni – e non rinchiudendo le persone, ma creando le condizioni materiali per una società più giusta. E questo avviene attraverso quella che il movimento delle donne curde chiama una “rivoluzione della mentalità”.
Abolire il sistema è un appello per la riorganizzazione radicale della vita con relazioni sociali che possono servire come nuovi termini di vita. In questo senso, le lotte delle donne incarnano nel qui-e-ora, ciò che è necessario per affrontare la crisi del COVID-19 e che è imminentemente realizzabile: una vita senza violenza e disuguaglianza.